PROBLEMI DA RISOLVERE

Il progetto politico della nostra iniziativa non può che scaturire dall'esame dei grandi problemi del nostro Paese.

Possiamo classificare i grandi problemi dell'Italia nel seguente ordine di priorità: istituzionali, economici, sociali, civili, morali ed internazionali.

I problemi istituzionali sono quelli che riguardano la gestione dello Stato in tutte le sue articolazioni.

Abbiamo già parlato del sistema mediante il quale viene conferito l'esercizio del potere di governare.

E dobbiamo prendere atto che il modello mediante il quale le forze politiche dispongono dello Stato non assicura la pienezza dei diritti democratici.

Non è democrazia approvare leggi che rappresentano l'interesse prevalente di chi detiene il potere politico, economico e religioso, o leggi che tutelano i diritti di determinate classi rispetto all'interesse comune dell'intera società nazionale.

Non è democrazia mantenere uno stato di diritto che privilegia la "conoscenza" dei pochi che così lo hanno voluto o lo hanno condizionato.

Non è, infine, democrazia, non produrre gli strumenti per garantire l'osservanza delle leggi più giuste, quelle che dovrebbero garantire il diritto all'incolumità, il diritto di intraprendere, di destinare i risultati derivanti dall'impiego dei propri capitali e del proprio lavoro al massimo reinvestimento produttivo, il diritto all'assistenza, il diritto di beneficiare dei servizi essenziali ad una moderna società civile ed economicamente avanzata come la nostra.

In effetti, lo stato di diritto italiano non rappresenta, forse non ha mai rappresentato, il governo delle soluzioni ai problemi dei cittadini italiani.

Essi sono stati chiamati a decidere su monarchia o repubblica, è stata compiuta una grande e libera scelta, ma la formazione dello stato di diritto, nei suoi contenuti, non è mai stata riportata ad una moderna accezione di democrazia rappresentativa.

Sono state promulgate tante leggi, molte delle quali in contraddizione tra di esse, dando la sensazione di un profondo rinnovamento, perchè tutto rimanesse come prima.

Ce ne rendiamo conto quando ci confrontiamo con la nuova legislazione comunitaria alla quale, e lo facciamo faticosamente e tardivamente, dovremmo ricondurci.

I limiti del nostro stato di diritto si riflette poi, necessariamente, sulla gestione delle risorse e, segnatamente, sulla finanza statale.

Non è possibile che, con i moderni sistemi di controllo amministrativo, non vengano realizzate le previsioni, a meno che questo non corrisponda a precisi interessi di chi gestisce lo Stato.

Sotto l'aspetto finanziario, lo Stato è, anzi dovrebbe essere, un'impresa da condurre con tecnici preparati ma, soprattutto, secondo precise scelte strategiche, fondate sulle priorità dei problemi da risolvere, sulle soluzioni da adottare e sugli effetti da produrre.

In Italia, da troppo tempo ormai, l'impresa Stato viene condotta in situazione di oggettiva insolvenza, vengono consumati tutti i reati previsti dalla legge sul fallimento delle imprese private, dai mezzi straordinari al ricorso abusivo al credito.

Vorremmo vedere come reagirebbe lo Stato se i risparmiatori decidessero di investire nell'industria, nel commercio e nei servizi necessari a produrre ricchezza, piuttosto che per finanziare il deficit pubblico.

Un capitale di 200 mila miliardi investito per produrre ricchezza provocherebbe, considerando un impiego di circa 100 milioni per ogni occupato, 2 milioni di nuovi posti di lavoro.

Tanti nuovi posti di lavoro potrebbero produrre ogni anno circa 140 mila miliardi di ricchezza in più di quella che il nostro Paese produce, con un effetto a cascata sul benessere collettivo di tutti ed un incremento del gettito fiscale, pur riducendo le percentuali di prelievo.

E lo Stato, con un'attenta opera di semplice ragioneria, sarebbe indotto a ridurre i propri costi meno utili, quando non del tutto inutili.

Questo va proposto alla gente!

Non la difesa ad oltranza dei debiti statali, bensì il reimpiego di ricchezza per produrre, senza filtri, senza l'assenso dei partiti, senza tangenti.

Parliamo allora di sistema economico pubblico, cioè dello Stato che, invece di decidere prima i costi e poi i ricavi, a prescindere da qualsiasi controversia keynesiana, decida le uscite in proporzione alle probabili entrate che il sistema economico possa sopportare.

Diamo dunque l'incarico ai tecnici di riscrivere il bilancio statale secondo le scelte di una buona conduzione aziendale e, in poco tempo, gli italiani sapranno risolvere questo problema.

Per quanto riguarda il Governo, siamo dell'opinione che potrebbe meglio corrispondere agli interessi della stragrande maggioranza degli italiani, se fosse nominato come un normale organo amministrativo di una società, nella quale il mandato viene revocato secondo precise norme previste dal codice civile.

Per far questo, i ministri della Repubblica dovrebbero essere nominati uno per uno, secondo quello che sono effettivamente capaci di fare.

E' molto semplice!

Sappiamo che la verità fa male, talvolta, e soprattutto quando tocca i nostri interessi personali, ma qui si tratta dell'Italia, di un grande popolo, di uno dei popoli più intelligenti del mondo, che si va a perdere per la tracotanza di alcuni che vogliono soltanto cambiare gli altri per mantenere il potere su tutti.

Poi ci sono i problemi della giustizia civile, penale ed amministrativa.

L'ideatore di Rinnovamento ha subito un processo, a causa del fatto che, dopo aver fondato e gestito una cooperativa commerciale posta in liquidazione perchè il movimento cooperativo "non l'aveva né proposta né voluta", i liquidatori hanno ceduto un magazzino costato oltre 500 milioni per meno di un quinto del suo valore.

Ha subito provvedimenti cautelativi, avendo diretto un'impresa industriale non sua, dopo essere stato nominato da un Tribunale della Repubblica, per salvarla dal fallimento, e dopo aver pagato 600 milioni di stipendi e salari di tasca sua, o meglio, di una banca alla quale, poi, ha restituito questi soldi con gli interessi. E' stato oggetto di una sorta di atto di guerra da parte dell'amministrazione finanziaria, per aver fondato un gruppo d'imprese che, in cinque anni, ha saputo sviluppare un'attività consistente, dopo essere partito da zero, anzi da sotto zero.

Intanto, decine di migliaia di miliardi sono stati spesi per ricostruire zone terremotate che sono rimaste da ricostruire.

Centinaia di delinquenti sono stati condannati per delitti gravissimi e sono liberi.

Lo spaccio della droga, insieme al commercio delle armi, hanno prodotto un volume d'affari superiore a quello del petrolio, e ci troviamo di fronte al paradosso di una umanità che spende di più per distruggere che per produrre.

Questi fatti non devono peraltro indurre a ritenere l'iniziativa ed il progetto di Rinnovamento come una sorta di rivendicazione di carattere individuale: non è questo il senso, non è questa la causa e nemmeno lo scopo.

La causa di Rinnovamento è la logica reazione a tutto ciò che non va bene e che si dubita che possa essere migliorato.

Lo scopo è quello di rinnovare, migliorando, noi stessi insieme a tutti gli altri.

Si è voluto riportare l'esperienza vissuta da una persona onesta, che ha sempre e comunque creduto nella verità e nella trasparenza.

E si è voluto incominciare con il dire la verità su se stessi, prima di pretendere, come fanno tanti, in quest'ultimo periodo, la verità dagli altri.

Giustizia vuol dire garantire gli stessi diritti di ogni individuo, a prescindere dal suo potere, qualunque ne sia la fonte: noi, persone, poveri e ricchi, uomini e donne, giovani e vecchi, governanti e governati, dobbiamo avere gli stessi diritti.

Giustizia significa anche avere il coraggio di dire e di accettare la verità, prima di tutto quella che ci riguarda personalmente.

Dire la verità anche quando si tratta di parlare del dovere di lavorare, per tutti quelli che possono farlo, o del dovere di essere onesti.

Dire la verità anche quando dirla o affrontarla significa rischiare, in termini di impopolarità, di antipatia, o di rischio personale.

I problemi economici riguardano la capacità del nostro Paese di produrre ricchezza ma soprattutto il modo di destinare la ricchezza prodotta. Il fatto che in Italia ci siano ancora alcuni milioni di persone molto povere sta a significare che, in quello che viene definito uno dei più grandi paesi industriali, i problemi economici non sono stati risolti, come del resto non sono stati risolti in altri paesi che hanno adottato il nostro stesso sistema economico.

Queste sono constatazioni, sono fatti reali, non immaginazioni.

E sono fatti troppo seri per essere disconosciuti.

I problemi di carattere sociale sono l'effetto logico della mancata soluzione dei problemi istituzionali e di quelli economici.

In pratica, la soluzione individuale ai problemi sociali passa attraverso la capacità di disporre di potere economico, e questa ci pare una grandissima ingiustizia sociale: chi è ammalato deve essere curato per quello che è, in quanto essere umano, non per quello che ha.

In Italia, oggi, per esser liberi bisogna avere!

E questo aspetto si ripete su gran parte dei rapporti sociali.

I problemi civili, quelli cioè che si riferiscono al regolamento dei conflitti tra individui e società, scaturiscono direttamente dalla mancata riforma dello stato di diritto rispetto alle nuove esigenze della nostra società.

I rapporti tra Stato e cittadini sono tuttora permeati di paternalismo, quando non di lassismo, di autarchica memoria.

Tu devi combattere, molto spesso, contro l'apparato dello Stato, per indurlo ad accettare quelle stesse leggi che lo Stato ha promulgato.

Devi alzare la voce per far valere i tuoi diritti!?

L'ordine pubblico non viene garantito e la metà, o forse di più, del nostro Paese vive sottoposto ad un governo diverso da quello dello Stato, a causa dei rapporti di connivenza che esistono tra gruppi di potere elettivo con gruppi di potere occulto.

Ed anche su questo aspetto, di grande gravità e pericolosità, Rinnovamento è teso a ricercare le cause oggettive, da quelle storiche a quelle più attuali, che investono la sfera della giustizia sociale, oltre a quella della giustizia penale.

Infine, esaminiamo i problemi internazionali, per quanto concerne i rapporti che a quel livello sono stati concordati.

Dal momento che abbiamo deciso di aderire ad istituzioni e ad aggregazioni internazionali, conoscendone le regole, anzi partecipando alla loro formazione, è incredibile che l'Italia possa essere continuamente giudicata per una messe di inadempienze.

Probabilmente, invece di fare di tutto per convincere, nel corso delle riunioni decisive nelle quali si discutono le norme, noi continuiamo a preferire, forse per eccesso di diplomazia o per debolezza, di accettare le norme senza poi applicarle.

In pratica, diciamo di sì e poi facciamo di no, come fanno molti bambini...

Sul piano della politica internazionale, assume particolare rilevanza il problema della pace, anzi il problema della guerra.

Rinnovamento, come del resto molte altre forze politiche e sociali, afferma che la guerra è l'espressione di conflitti che si possono comporre in modo pacifico.

La guerra è strategia di aggravamento, non di soluzione, dei conflitti!

Lo stesso giudizio che viene dato, oggi, sulla Guerra del Golfo, induce a ribadire questo concetto.

Ma quali sono, in generale, le cause delle guerre?

Da quale presupposto i conflitti diventano tanto acuti da indurre ad abbandonare la scelta della pace?

Noi crediamo che la causa di tutte le guerre stia essenzialmente nel modo di destinare la ricchezza prodotta, ancora più che nel modo di produrla.

L'errata destinazione della ricchezza, sia all'interno delle nazioni che nei rapporti tra più nazioni, apre conflitti che inducono alla disperazione e conferiscono all'essere umano la disponibilità al rischio, all'eccesso.

Spesso, poi, si ha una sovrapposizione dei conflitti religiosi su quelli economici, trascinando la gente all'esaltazione, alla sublimazione degli istinti rispetto alla ragione.

E chi paga di più sono i popoli, la gente comune che, nonostante migliaia di esempi, continua a seguire un capo che trascina in guerra.

Sono dunque i sistemi economici che producono, come effetto, la guerra.

E, se sono innegabili le ingiustizie dei sistemi economici, come possiamo pensare di realizzare la pace?

Sarebbe una contraddizione, una pretesa che, peraltro, non ha mai trovato riscontri nella storia.